SE SON BOMBE ESPLODERANNO (Parte Prima)

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Si meritano la bomba. Io farò anche una fine del cazzo eh, ottantasettenne su una seggiola a rotelle motorizzata, due bypass e una freschissima prognosi di carcinoma al polmone destro, ma loro se la meritano, oh si che se la meritano, una bella deflagrazione che faccia saltare in aria tutto. Sarà il mio ultimo atto rivoluzionario, il mio addio a questo mondo crudele, la degna conclusione di un’esistenza turbolentissima in cui ve lo dico proprio francamente, me la sono anche spassata alla grande, ma siccome tanto farò una brutta, bruttissima fine e nessuno a quest’età e in queste condizioni potrà minimamente pensare realisticamente di processarmi ho programmato la mia uscita di scena nel modo più radicale possibile: a mezzanotte di questa sera farò esplodere la bomba e tutta la casa di riposo per anziani crollerà su se stessa come un patetico castello di carte.
Sono venuta ad abitare qua sette anni fa, dopo il mio secondo infarto, non avendo nessuno che si occupasse di me. Non ho mai condiviso la sciocca e deleteria ossessione della maggior parte del sesso femminile per la procreazione e dunque mi sono astenuta per tutta la vita dal figliare, un atto di un egoismo e di una ripugnanza assoluti, davvero non ho mai capito come una persona cerebralmente in salute possa avere il desiderio sconcertante di riprodurre la vita; un po’ come quelli che credono in Dio. Tutta gente da TSO immediato. Scusate se passo subito a polemizzare su argomenti caldi come questi, ma che volete, mi stanno a cuore e poi sarà meglio chiarirvi immediatamente le mie posizioni visto l’atto che mi appresto a compiere. L’ateismo e una ferma e sacra convinzione di irripetibilità mi hanno guidata per tutta la vita. Il mio migliore amico Rudy non si capacita, si chiede ogni giorno come mai queste due certezze incrollabili come fortezze nella mia mente non lascino ancora il posto ad una dolce rassegnazione conseguente il declino e l’approssimarsi della morte. Dice che invecchiando l’ateismo diventa un coinquilino scomodo, una posizione difficile da difendere e pure impegnativa; dice che è bello affidarsi alla fantasia d’un abbraccio eterno, nel sonno dei giusti. Mi viene da sorridere quando parla così ma non voglio offenderlo, è il mio più caro amico, qui dentro e al mondo, l’unico che sa toccare la mia scorza coriacea sferzata dalla vita. Per questo non dico nulla, rido tra me e me e cambiando argomento gli chiedo di aggiornarmi per favore sull’ultima puntata di True Detective, serie americana di gran successo che lo appassiona e lo entusiasma incredibilmente. Io me la sono già guardata tutta in streaming sul mio Mac book air, ma faccio finta di no, mi piace ascoltare Rudy che mi racconta le avventure dei detective Rust e Marty, ha una capacità espositiva affascinante. E’ stato professore di letteratura francese all’Università e l’amore della sua vita è sempre stato Proust (più che amore in effetti sarebbe giusto parlare di vera e propria ossessione) tanto da spendere fiumi d’inchiostro in saggi e pubblicazioni sull’autore de La Recherche. Ha un unico figlio, e manco a dirlo lo ha chiamato Marcel, che ha seguito la sua carriera accademica e adesso insegna fisica nucleare negli Stati Uniti. La moglie di Rudy è morta per aneurisma poco dopo la laurea di Marcel. E così, ritrovatosi solo e non più autosufficiente, è venuto a recludersi spontaneamente qui dentro. Proprio come me; senza parenti e con un bel gruzzoletto di soldi (perché questo cari miei è un posto sciccoso e le rette sono piuttosto altine, da vip!) ho deciso di venire a trascorrere i miei ultimi anni in questo posto. A Rudy a volte replico che non è vero che non mi sono addolcita, una scelta del genere non sarebbe stata proprio da me che son sempre stata una testa calda, ribelle e scapestrata e che ce ne vuole tanta di dolcezza per abbandonare il randagismo e venirsi a rinchiudere in questi konzentrationlager autorizzati, in questi zoo di umanità marcescente, di lusso e tirati a lucido certo, ma pur sempre di recinti per decomposti alla fine si tratta. Rudy mi sorride sornione rispondendomi che questa non è dolcezza semmai rimbambimento senile, e a questo giro ha perfettamente ragione lui. I maligni qui dentro dicono che se mi fossi riprodotta adesso avrei dei figli amorosi che si prenderebbero cura di me ‘Oh, bhé siete tutti senza prole allora a quanto pare qua eh…’ ridacchio nel silenzio di un imbarazzo generale, poi mi prende la tosse, catarrosa e spossante, mi devono subito portare l’ossigeno e nulla, gag finita.
Insomma, cinque mesi fa mi è stato diagnosticato questo tumore. Che palle, è la prima cosa che ho pensato in conseguenza del fatto che ho dovuto smettere di fumare. Io fumo un pacchetto di sigarette al giorno dall’età di dodici anni. Forse qualche simpaticone tra di voi chioserà che bhé allora, una neoplasia polmonare direi che è veramente il minimo che ti potesse capitare, i soliti disfattisti non fumatori, mi sembra già di sentirvi tutti orgogliosi delle vostre vittorie sul non si può fumare qui e non si può fumare lì, e il fumo passivo fa male, e i bambini, dio mio chi pensa ai bambini? E le vostre foto di polmoni corrosi dal cancro spiattellate sui pacchetti di sigarette e il fumo uccide e tutta questa zolfa qui. Fascisti, siete solo dei fascisti. Il fumo è la più alta e vera espressione di libertà di un individuo. Libertà si, anche quella di volersi procurare una morte lenta e asfissiante che a ottantasette anni si ergerà nera e impalpabile sopra la tua testa, un guizzo di luce scintillante che fa risplendere la mannaia sollevata in alto pronta a farla cadere con netta precisione, questione di qualche altro mese mi sa. Libertà dicevo, si, non c’è niente che mi faccia stare meglio di una sigaretta e il saper provare piacere è massima espressione della libertà delle persone; solo chi riesce a stare bene e procurarsi piacere è libero. Qualcuno la definisce una schiavitù, una dipendenza (e se siete tra questi siete delle brutte persone, sappiatelo); ebbene io ho sempre assaporato con infinita gioia egoista ogni singolo tiro di ogni singola cicca fumata in vita mia, e posso assicurarvi che sono tante. Ecco perché quando il pneumologo mi ha dato la diagnosi di carcinoma polmonare di IV grado di tipo M1 (ovvero belli miei mi son beccata pure le metastasi, pacchetto tutto compreso) la prima cosa che ho pensato è stata che palle. Non che faccia molta differenza se continuo o meno a fumare, visto che è incurabile, inoperabile e compagnia bella, solo che già respiro a stento, fumare è proprio assai impossibile. Fino ad un paio di mesi fa ogni tanto una sigaretta me la fumavo ma quelli di qui s’incazzavano perché mi venivano le crisi respiratorie e allora m’è toccato smettere davvero. Ogni tanto quella squinternata di Eugenia, una ex cantante di cabaret con l’Alzheimer, mi fa fare un tiro, giusto uno. Tossisco per un’ora e ho subito bisogno dell’ossigeno, ma sono felice come una bambina la mattina di Natale. Dio non esiste ed io ho il cancro. Non che il fatto di avere il cancro è giustificazione e spiegazione del mio non credere eh, che come ho già detto posseggo da una vita intera, del resto mio padre Navarro è stato tra i fondatori del PCI a Livorno nel 1921 e mia mamma Lucia, maestra elementare comunista e fervente anticattolica, fu esiliata sull’isola di Ventotene per essersi rifiutata di prestare giuramento al regime fascista, e con una tale storia familiare alle spalle pensate davvero che io avrei potuto credere alla benché minima idea sull’esistenza di un qualche ridicolo assunto teologico? Suvvia. Dio è una sciocca invenzione capace, lo riconosco, di affascinare e confortare le masse e l’intimo animo umano. Ma aprite un libro di scienze, leggete Darwin, volgete gli occhi all’Universo, interrogatevi sulle stelle (non interrogate le stelle e gli oroscopi, un’altra scemenza cosmica, mi si passi il gioco di parole), sull’infinitamente grande e sull’infinitamente piccolo, sul senso della vita umana, sul nostro affannarci quotidiano, tutto che accade nella più immensa e immobile indifferenza del Cosmo, capirete che l’idea di Dio è nient’altro che un’ invenzione, per altro a mio avviso assai perniciosa. Son pensieri che danno le vertigini, forse anche la nausea, lo so, ma è così. Bisogna essere davvero coraggiosi per affrontare la realtà del mondo e cioè che noi non contiamo nulla e siamo solo una perversione della natura, che la nostra vita non ha alcun senso nell’economia del tutto se non forse la riproduzione e distruzione di atomi continua. All’infinito. Dunque Dio non esiste e a me è venuto il cancro dicevo, scusate mi perdo sempre nei discorsi, ma le due cose, ripeto non sono necessariamente collegate, solo che la seconda mi rafforza fortissimo la prima, nonostante il telaseiandataprorioacercare, insomma se esistesse Dio mi concederebbe almeno un ultimo desiderio prima di morire no? Eh, il mio sarebbe fumare l’ultima sigaretta. Ma già sapete che non posso, quindi, Dio non esiste.

[FINE PRIMA PARTE]

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