Ho smesso due anni fa di festeggiare il Natale, una festa che tra l’altro, in quanto non credente, mi appartiene anche ben poco ma vabbé non ne ho mai festeggiato il senso cristiano in realtà, non so nemmeno cosa ho festeggiato per ventinove anni, forse più la forma che la sostanza. Non volevo parlare di questo comunque quanto del fatto che è già comunque di per sé un periodo un po’ così, e con le cosiddette “feste” si acuisce la mia sociopatia e la mia voglia smodata di alcol, molto alcol. L’unica concessione che ho fatto al Natale sono le lucine attorcigliate lungo il corrimano delle scale. E non è escluso che ce le lasci per sempre.
Il Natale mi mette voglia di orrore, ho bisogno d’avvertire quasi fisicamente l’orrore di questo mondo che s’imbelletta di lucine lampeggianti, fiocchi, addobbi e altre sciocchezze simili ma che al di sotto di esse conserva intatta tutta la sua immonda parvenza. E quindi tutto ciò che mi metta in stretto contatto con il terrore dell’universo è ben accetto (American Horror Story, Chambers e Lovecraft e anche Updike si, perché no); le Patience & Prudence in sottofondo con le loro voci angeliche così America anni ’50 a perfetta sottolineatura del precedentemente già menzionato stridente contrasto. E siccome non sono in vena di festeggiare proprio un bel nulla qualche giorno fa ho preso la ferma e convinta decisione di trascorrere l’ultima notte dell’anno seduta a questa scrivania a principiare un romanzo che sarà IL Romanzo. Un altro figlio di carta, forse il più importante, articolato, maturo. Stapperò l’Amarone che tanto credo non si meriti nessuno se non esclusivamente la sottoscritta, mangerò un piatto di lenticchie (ma non per le sciocche credenze superstiziose quanto proprio perché le adoro) e accenderò molte candele che pare in gran numero facciano davvero calore. Naturalmente non ho uno straccio d’idea su cosa scrivere, no non è esatto, in realtà ho molte idee ma ciò che manca è un collegamento organico, un impianto narrativo solido e che faccia da fondamenta. Non mi preoccupo comunque più di tanto, vorrei darmi fiducia, che poi le idee arrivano anche in corso d’opera, l’importante è cominciare, ho già in mente un sacco di elementi che si affastellano intorno al mio encefalo come falene intorno ad una lampadina nelle sere d’estate. Vorrei che fosse una grande opera, un romanzo con i controcazzi, vorrei fosse Letteratura perché non mi accontento, non mi sono mai accontentata della narrativa, la narrativa è un palliativo, la Letteratura richiede fatica, sudore, dolore, un’intensa sofferenza interiore che innalzi verso una verticale di luce purissima, vorrei appartenesse ad un altro tempo storico con un che di fiabesco e di terrifico, che raccontasse l’orrore del mondo sotto quel suo belletto falso di lucine lampeggianti e bugie. Vorrei ci fosse del terrorismo, di quello brigatista anni ’70 e molta poesia. Vorrei raccontasse i meccanismi del tempo e della memoria. Ci saranno Proust, l’amianto, i tatuaggi e le bombe. Ci sarà il chieso in cui dimoro, un juboxe che manda in ripetizione sempre la solita canzone, ci sarà un bambino autistico e pentacoli rovesciati disegnati sui muri. Ci sarà una tela di Adolf Hitler. Ci sarà una giovane donna dai lunghissimi capelli rossi sempre vestita di nero che alleva pipistrelli e una sempre vestita di bianco che vive rinchiusa nella sua camera. Ci sarà il personaggio maschile della mia foto profilo su facebook al quale urge che io trovi un nome, che indossa sempre una specie di maschera di stoffa vagamente somigliante a quelle antigas della Prima Guerra Mondiale, un cilindro e un cappotto lungo nero doppiopetto dalle capienti tasche dove tiene sempre una copia del Necronomicon e una del Re Giallo e che dovrà sicuramente essere un amante del pastis bevuto in calici di cristallo dalle pregevolissime fatture. Ho queste e molte altre idee allo stato larvale che mi nascono di continuo in testa. Quello che devo fare è trovare un filo logico, una trama che colleghi tutto ciò e soprattutto un incipit bomba, che tanto dipende sempre quasi tutto dagli incipit, questo si sa. In realtà non mi sorprenderei se iniziassi già in questi giorni a scrivere visto che davanti alle lettere della tastiera mi sento sempre molto meglio che di fronte ad altri esseri umani verso i quali il più delle volte sono deprimentemente a disagio , e poi sono depressa e questo è il mio modo di curarmi, rifugiarmi in questa dimensione accessibile solo a me, si fotta il Natale, si fottano le feste, Gesù bambino, il Capodanno e i suoi odiosi botti, si fotta la voglia di far festa e l’orribile belletto con cui il mondo s’impiastriccia la faccia in questi giorni, resta e resterà sempre orribile. Io, nel mio chieso, con la musica altissima stappo l’Amarone che tanto non si merita nessun altro se non la sottoscritta, che ha le spalle larghe e due controcoglioni che in molti dovrebbero invidiarle, e scrivo di Letteratura, scriverò il mio Romanzo, il mio bambino di carta che diverrà grande, immenso, magnifico.
Perché come tutte le madri che sognano un avvenire di gloria per la propria progenie, in questo io non faccio certamente eccezione.