SE SON ROSE SFIORIRANNO

la-morte-ti-fa-bella-isabella-rosselini

La situazione è questa. Sono le tre e mezza di notte ed io sono riversa sul pavimento freddo di gres nella totale oscurità della casa dopo la rovinosa caduta che ho fatto dalle scale. Emily, la mia bastardina di tre anni, troneggia su di me e si prodiga a leccarmi la faccia con veemenza soccorritrice, da perfetta guardiana della mia vita quale lei sola è. Mi sono fatta male al culo, al mio bellissimo culo. Bellissimo non lo dico io eh, figuriamoci non mi permetterei mai e poi io sono sempre ipercritica verso me stessa, no no per sentito dire. Me lo dicono quasi tutti, maschi intendo, oddio a volte anche qualche femmina, ma comunque ecco devo dire che decreta sempre un certo successo. Resta il fatto che mi sono fatta male al gluteo destro dove domani fioriranno ematomi viola abnormi e al coccige (parecchio male soppeso dall’intensità del dolore che si propande nelle gambe e che mi contrae il viso in una smorfia sofferente producendo in Emily un certo allarmismo e un’impennata nella velocità dei suoi leccamenti). Merda, penso e se mi sono rotta l’osso sacro? E se resto paralizzata per sempre? Mi viene in mente Meryl Streep in La Morte Ti Fa Bella che cade giù dalla scalinata e si rompe l’osso del collo e quindi muore, solo che non muore davvero perché ha preso l’elisir dell’eterna giovinezza che le ha dato quella fica stratosferica di Isabella Rossellini. Insomma per dire che una caduta ammodo può anche ammazzarti o renderti disabile per sempre. Guardo Emily pensando queste cose e mentalmente la interrogo sulle sue capacità di soccorso. Emily ma se mi fossi fatta davvero tanto male tu sapresti avvertire qualcuno? Bhè certo, una volta sei scappata e te ne sei andata tutta da sola a casa dei miei che abitano relativamente qua vicino, ma c’è il problema della mia porta chiusa a chiave, se non te la apro io dubito che tu possa farcela da sola, e se mi sono fatta seriamente male dubito di riuscire ad arrivarci per aprirla. Certo ho il cellulare, che però al momento si trova sul soppalco in carica. Un bel problema, un bel problema davvero. Valuto, in un accesso di pessimismo immaginifico che trascorrerò le prossime ore qui riversa sul pavimento freddo di gres nella totale oscurità della casa, agonizzante ed incapace di muovermi, con Emily impotente qui accanto a me che mi lecca la faccia e piange la lenta, inesorabile fine della sua padrona. E pensare che non ero nemmeno sbronza né sotto l’effetto dell’amatissimo thc. Uomini, sempre e soltanto e purtroppo uomini.
La verità è che sono depressa e l’alcol è sempre il rifugio migliore quando il reale diventa troppo brutto e ti strappa soltanto lacrime, l’alcol ti accoglie a braccia aperte e ti stringe carezzandoti la testa e se ascolti bene sembra sussurrarti all’orecchio va tutto bene, ci sono qua io, adesso ti dimentichi di tutto per un po’, giusto il tempo che serve a far riposare le meningi. L’alcol non ti dà risposte ma è molto bravo a farti dimenticare le domande, ti lancia in una dimensione di euforia inspiegabile e immotivata a parecchi metri d’altitudine e di distacco dalle brutture e dalle infelicità terrene. Anche il thc assolve perfettamente ed egregiamente a questo compito ed infatti li alterno di volta in volta a seconda della disponibilità e della circostanza ma non li mischio mai; ho avuto esperienze non piacevolissime le rare volte che disgraziatamente ho osato questa combo. L’aspetto migliore dell’assunzione di questi additivi è senz’altro il loro riuscire a catapultarmi dentro un sonno profondo dai tratti comatosi, duraturo e confortante, dimensione agognata e che raramente riesco a raggiungere in modo così perfetto altrimenti. Converrete con me che non c’è quasi niente di più bello e di più godibile del dormire quando si è preda d’una tristezza infinita. Il sonno è la cosa che più s’avvicina alla morte, ne sa imitare alla perfezione le pose. Quindi lode all’alcol e alla cannabis che strappandomi ad un reale tragico mi gettano come sontuose ancelle tra le braccia di Morfeo, dove rimango anche per 12-14 ore filate riversa e senza più pensieri. L’aspetto spiacevole è che poi, inevitabilmente, ci si risveglia sempre. In alternativa ci si può anche impalare sul proprio vibratore davanti allo schermo del pc aperto su un qualsiasi sito porno a caso. E non importa nemmeno che vibri. Il mio ad esempio è tanto che non vibra più, non era waterproof e l’ho usato sotto la doccia ma il suo dovere lo compie alla perfezione lo stesso. Fidatevi, aiuta moltissimo, libera le endorfine e tutte quelle robe lì. Ve lo consiglio.
Negli ultimi giorni la mia depressione si è conclamata pienamente. Mi sono rintanata sotto il piumone che diciamocelo francamente, in queste giornate di pioggia e di afflizione morale è l’habitat perfetto, accogliente, invulnerabile. Il posacenere accanto trabocca di filtri sbruciacchiati e canne ammezzate. La tv è accesa a volume bassissimo quasi sempre su Rai 5, il mio nuovo canale preferito perché danno tutta roba di teatro, a volte però becchi una serata interessante su Iris, che io chiamo sempre scherzosamente ISIS, o su Rai Movie e ti vedi tre o quattro film a fila di quelli con tutti i crismi. In realtà poi non vedo un cazzo perché mi addormento sempre ad intermittenza ma è comunque un fatto rassicurante quello di avere una programmazione televisiva di tutto rispetto ad accogliere gli sciagurati miei risvegli nel corso della notte. Dormire, sempre dormire. Non farei altro ed infatti faccio poco altro. Mi cibo soltanto di patate arrosto e cioccolata. Ascolto ossessivamente Diamanda Galas. Esco rare volte per andare a bere come una scellerata e addormentarmi come una tossica sui divani dei locali nonostante i volumi non proprio “da camera” della musica live quivi suonata. Questa narcolessia indotta e ricercata mi fa inevitabilmente disattendere molti impegni a cui assicuro sempre la mia presenza come un dogma ineluttabile e infallibile ed invece mi ritrovo a dare un pacco dietro l’altro di cui mi dispiaccio anche sinceramente ma non ho tempo da perdere con le scuse e le giustificazioni. Non m’interessano, non ne ho voglia, non mi vanno, lasciatemi stare, lasciatemi stare tutti sotto questa coltre di tristezza che mi si è posata addosso. Che vi costa? Lasciatemi qui a morire riversa sul pavimento, forse con l’osso sacro rotto, lasciate che solo il mio cane pianga la mia dipartita da questo mondo crudele che tanto non mi ha mai voluto un briciolo di bene.
Scopo anche parecchio comunque. Spesso con gente a caso e di cui nulla m’interessa se non l’effimera gioia dell’orgasmo che sanno regalarmi. Ma è comunque un’attività interessante, salutare e distensiva che pratico sempre con gioia, anche quando ho il morale sotto i tacchi. E poi non si può sempre star fissi su youporn. Cioè, bisognerà anche pur mettere un po’ in pratica no? E infatti metto in pratica. Dormire e scopare. Fine, farei solo questo. Mi curano entrambe a meraviglia la depressione.
Maximilien mi ha lasciata. No, non è nemmeno corretto dire che mi ha lasciata. Non si sa che sia accaduto, è semplicemente sparito nelle nebbie profonde della notte perpetua a cui appartiene. La sua mente è assai disturbata, questo lo sapevo anche prima che venisse a vivere qui da me. È rimasto un mese, giusto un mese, poi puff! sparito nel nulla. Non mi ha mai più risposto al telefono, strumento col quale devo dire non ha mai avuto un gran bel rapporto, semplicemente se n’è andato senza dare nessuna spiegazione, come se io non esistessi e fossi soltanto un fantasma che tormentava le sue meningi e da cui era bene scappare, senza mai voltarsi indietro. Mi sono scoperta a soffrire moltissimo di quest’abbandono. Maximilien era di una bellezza disumana lo ammetto, ma non era la sola cosa che mi teneva così legata a lui. Quella commistione così strana e alchemica di tenerezza e tenebre, quel fascino che emanava dalla sua persona come una luce nera potentissima dentro la quale mi liquefacevo ogni volta che su di me posava gli occhi, tutto di lui mi rapiva, i suoi gesti, il suo modo di parlare, quell’essere, così si definiva, “uomo d’altri tempi”. Altri tempi una bella sega! Un uomo d’altri tempi non mi avrebbe mai trattata così, scomparendo nel nulla da un giorno all’altro, dimenticando la mia esistenza in un attimo. Eppure, eppure ero così affascinata dalle tenebre del suo encefalo, dalla sua prestanza sessuale che mi regalava molteplici orgasmi e che mi rendeva così incapace di staccarmi da lui tanto che a volte siamo rimasti a letto per giorni e notti senza soluzione di continuità. Ero affascinata da tutta la sua persona. E adesso che se n’è andato e m’ha lasciata sola soffro in una maniera che non mi sarei mai aspettata, visto quanto sono avvezza all’abbandono. Probabilmente di Maximilien ero innamorata e all’amore volevo forse dare un’altra, ultima possibilità. E guardate che fine ho fatto, membra e pezzi di cuore in frantumi, tutto sparpagliato sul pavimento freddo di gres nel cuore della notte dopo una rovinosa caduta dalle scale. Bhé, non so se la morte ti fa bella ma sicuramente l’amore ti fa morta.
Se solo Michel mi amasse. Ma no, lui fa l’amicone, mi telefona e s’informa di come sto, mi trascina fuori a bere, mi suggerisce di buttare via il numero di Maximilien, si insomma tutto quello che l’amico del cuore dovrebbe fare. Tutto giusto oh. Peccato che Michel sia l’uomo della mia vita, ormai non mi ricordo nemmeno più da quanto tempo lo amo, da troppo, e non ho mai avuto il coraggio di dirglielo e comunque lui ama un’altra donna, quindi dirglielo non servirebbe a niente. Ultimamente la vicinanza di Michel contribuisce ad aumentarmi l’ansia, non so se mi capite, la sua presenza è impagabile e preziosa e però allo stesso tempo è una tortura. Croce e delizia. Forse una di queste notti sotto la pioggia battente potrei baciarlo sbronza e confessargli tutto il mio amore struggente per lui come succede sempre nei vecchi film francesi, solo che lì le attrici non sono sbronze, non si drogano e non passano ore su youporn come faccio io, che pure faccio l’attrice ma sono nata in un’epoca e in un tempo storico sbagliati, dove tutto è fugace, superficiale e resiste soltanto il tempo di durata di una canzone punk, tipo FVK dei Bad Brains; una società in cui se sei una donna con più di trent’anni e sei sola, sola rimani, nonostante la prestanza, l’avvenenza e tutte queste minchiate a loro volta futili e caduche. Anche perché non c’è nessuna Isabella Rossellini che ti compare nuda davanti e ti somministra l’elisir di eterna giovinezza e di eterna beltà. Tutto ciò sfiorisce come le rose, come gli amori che nascono ed inevitabilmente muoiono, perché questo è il destino di tutte le cose che sono nel mondo. È una condanna e non c’è appello. Il femminismo ha rovinato tutto, maledette nei secoli dei secoli, voi e le vostre vulve e anche la mia si, che non fa eccezione. Le telecomunicazioni e lo sbalorditivo sviluppo della tecnologia, lungi dal rappresentare un progres so, ritraggono la nuova forma di schiavitù del mondo a cui siamo tutti soggiogati. Prendete WhatsApp per esempio. Ecco, io credo sia il male incarnato, Satana in confronto è un pivellino, è un cancro marcescente che ammorba la nostra vita. Io sono per il rogo immediato di tutti gli smartphone, una nuova Opernplatz che accolga tutti questi strumenti infernali che ci hanno rovinato la vita, sabotato i sentimenti, privati di qualsiasi profondità e spessore umano. E lo dico con ferma convinzione da smartphone-dipendente quale sono. Che razza di esistenza è mai questa, attaccata sino alla follia ad curioso oggetto rettangolare nero, dello spessore di appena un centimetro, finestra selvaggia spalancata su un cyberspazio ancora più selvaggio che vorrebbe ritrarre un reale tragico e gretto infiocchettandolo con lucine ed emoticon sempre più lobotomizzanti. Se solo Michel mi amasse dicevo. Potrei dimenticarmi di Maximilien, potrei ritrovare fiducia nel mondo, potrei abbandonare il piumone, onorare gli impegni, smetterla di arrivare alle prove con degli hangover imbarazzanti, farla finita di consultare compulsivamente WhatsApp per vedere se Maximilien ha dato segni di vita, smetterla di dormire, sempre e soltanto dormire, uscire da questo letargo innaturale. Se solo Michel mi amasse. Ma non mi ama, ama un’altra donna. Ed io a causa di questo sonno feroce, intermittente e agitato mi sono svegliata alle tre e mezza di notte e come un automa sono scesa per le scale scalza e scivolando sono caduta giù fino al pavimento, facendomi male al gluteo destro e al coccige e chissà forse resterò paralizzata a vita, forse morirò qui sopra riversa su questo pavimento a piangere tutte le mie lacrime per Maximilien che se n’è andato, per Michel che non mi ama e per me che resterò sola per sempre e forse il per sempre non durerà molto, giusto qualche altra ora, e non è nemmeno corretto dire che resterò sola. Ho Emily che torreggia sopra di me e mi lava la faccia con la sua lingua e sento dai suoi guaiti quanto è dispiaciuta e preoccupata per la mia vita e la mia salute, unico essere che se ne preoccupi vorrei sottolineare e allora mi dico che forse questa situazione è paradigmatica, paradigmatica di quanto la vita faccia male come una rovinosa caduta dalle scale in piena notte e nemmeno mi ricordo perché cazzo mi sono alzata e sono voluta scendere di sotto ma che tutto sommato sono fortunata ad avere un cane che viene a leccarmi la faccia per soccorrermi perché lei mi ama più di se stessa e mai e poi mai si dileguerà come le bestie umane che purtroppo ho incontrato e incontrerò costantemente nel mio cammino.
Sarà più di mezz’ora ormai che me ne sto qua sdraiata in terra a rimuginare sulla mia depressione e sugli uomini che me la procurano. Emily s’è accucciata vicino a me sbadigliando, perché guai a mollarmi un secondo ma evidentemente si è anche rotta le palle di starmi a lavare il viso all’infinito. Il culo mi fa un male boia, sento già affiorare alla pelle l’ematoma, i vasi sanguigni che si sono rotti e tutta quella roba là. Provo a rialzarmi in piedi e naturalmente ce la faccio alla grande, non mi sono rotta nulla, anche se sono un po’ delusa perché ormai mi ero affezionata all’idea di una morte romantica nell’indifferenza generale degli umani ma sommersa dall’amore totale della mia bestiolina. Un po’ zoppicando decido che, visto che ci sono, aprirò il barattolo della Nutella e passerò il resto della notte in sua compagnia, quando all’improvviso mi sovviene che il barattolo in questione me lo sono finito giorni or sono in compagnia di Maximilien, tra un bacio e un orgasmo qua e là. M’immobilizzo. Ed ecco fiorire rigogliosa e spontanea sulle mie labbra, a questo punto, la bestemmia del buon mattino e la convinzione che non c’è niente da fare, mai una gioia mai!

“Le Dissolute di Sainte Justine”

fetish_nun_by_nerium_oleandr-d5uw2j4

Nelle decomposte stanze adornate di cristallo gocciante e sanguigni broccati dell’ala ovest, gli alabastri e i mortali marmi rispecchiavano crudeli una luce sempre sul punto d’implodere. Il pesante velluto scuro sigillava grandi vetrate e poco o niente penetrava del mondo esterno nella clausura dell’antico convento di Sainte Justine. Qui vivevano due tra le creature più turpi, viziose e scellerate della cosidetta epoca dei lumi, Virginie De Sainte-Ange e Claudine De Curval. Erano bellissime femmine di circa ventitré anni provenienti dalle famiglie più nobili e ricche di tutta Parigi, ma la cattività claustrale non aveva impedito loro di aver accesso agli empi e dissoluti piaceri della carne; i loro prediletti del resto. Il denaro delle loro famiglie pagava ogni cosa naturalmente, anche il discreto silenzio della Madre badessa che faceva finta d’ignorar ogni cosa riguardo ai singolari costumi delle due monache. Virginie e Claudine avevano i loro personali appartamenti, sfarzosi e decadenti allo stesso tempo, che ospitavano le immoralità di quelle fameliche donne. Condividevano infatti entrambe il medesimo gusto sadista per la lascivia e la vessazione, la tortura e l’assassinio, le eleganti orge e la passione sfrenata per il vino.
Le loro giornate trascorrevano laide e molli nel claustrofobico di quelle mura mentre venivano trattate come sontuose principesse dagli eccentrici gusti. Il pranzo, luculliano e sfarzoso, era servito alle ore quattordici virgola trenta. Discinte nelle loro vesti da camera, senza nulla sotto, mangiavano adagiate su imperiali chaise-longue obbligando i servi a leccare tutto ciò che per sbaglio cadeva sui loro superbi corpi sporcandoli. Carponi e con le mani rigorosamente legate dietro la schiena. Le due libertine si eccitavano moltissimo infatti a queste pratiche. Finito il pranzo si ritiravano nelle loro stanze sotto l’urgenza spasmodica della bramosia, regalandosi reciproche estasi orgasmiche; l’una solleticava con la bocca il sesso già grondante dell’altra fino a venire inondando di fluidi corporei le lenzuola di raso. Potevano trascorrere così pomeriggi interi senza smettere mai, erano diventate talmente tanto esperte che sapientemente avevano appreso del ritardare il piacere l’arte.
Dopo un emolliente e caldo bagno rilassante in vasche smaltate di ceramica dai piedi leonini, alle ore diciotto virgola zero zero Virginie e Claudine si recavano nella cappella assieme alla Madre badessa per recitare i vespri dove s’inginocchiavano, nude sotto le monacali vesti, davanti alla Santissima Croce. La badessa, qualche metro più avanti, ripeteva salmodiando orazioni e invocazioni all’Altissimo pregando per quelle anime già perdute mentre le due sgualdrine più indietro, indirizzando sospiranti pensieri impudichi a quel corpo sofferto che in costume adamitico davanti a loro sulla Santissima Croce pendeva, nascondevano sotto la tonaca le dita e sfiorando i loro depilati sessi godevano in estasi trattenendo l’orgasmo.
Tornate nei propri appartamenti si preparavano con grande sfarzo alla cena e soprattutto al dopocena. Ai loro corpi richiedevano infatti la perfezione, la meraviglia più assoluta, dovevano essere impeccabili, superbi, di una sconvolgente bellezza e finezza. Del resto la natura assai benigna si era dimostrata con esse, avendole dotate di un’avvenenza e di una compiutezza a dir poco magistrale, ma tanto era divino il loro aspetto quanto più era criminale la loro anima.
Madonne splendidi e terribili dallo sguardo profetico d’indemoniate.
Alle ventidue virgola zero cinque veniva offerta la cena alla quale quasi sempre partecipavano ospiti di magnificenza e perversione in eguale misura dotati. Duchesse, arcivescovi, notai, contesse, marchesi e generali non mancavano mai al fastoso e cruento banchetto, dove di norma erano servite non meno di dieci portate, piatti esotici e ricercati per quei nobili e raffinati palati e il miglior vino delle cantine di Francia sgorgava a fiumi annegando in litri d’etilico le già delittuose menti, suggerendo ulteriori sconcezze e massacri da praticare totalmente indisturbati dentro quelle decomposte stanze adornate di cristallo gocciante e sanguigni broccati.
Virginie e Claudine facevano la loro comparsa quando tutti i commensali avevano preso posto. Adoravano lasciarli in trepidante attesa, a volte anche per un’ora, ma mai deludevano le aspettative. Apparivano sfavillanti nel loro trucco scuro sulle palpebre trasudando erotismo da tutti i pori; i loro colli, racchiusi in preziosi collari di diamanti, da elaborate acconciature che raccoglievano in alto la chioma erano messi in risalto. Vesti provocanti, eccessive e aristocratiche magnificavano le loro sensuali figure anche se spesso non disdegnavano però di presenziare all’orgiastico pasto nel loro monastico abito, appositamente modificato per l’occasione. La commistione oscena del sacro e del profano era infatti da esse particolarmente apprezzata e ricercata; a Virginie era cosa assai gradita esser fottuta sopra gli avanzi della regale cena soltanto con indosso il suo enorme crocifisso d’oro tempestato di sbalorditivi rubini mentre succhiava la superba verga del cardinale di turno. Lo sbattere della Santissima Croce sul suo seno perfetto la eccitava più di ogni altra cosa rendendola più similare ad una famelica belva che non ad un’umana creatura. Esser leccata in ogni orifizio da femmine e maschi al medesimo tempo, coperta esclusivamente dal suo monacale velo era invece la passione di Claudine; rivolgeva gli occhi al cielo rapita dalla sua terrena estasi con le mani giunte in atto di preghiera mentre dita e lingue in sconosciuta moltitudine la penetravano e la esploravano ingorde. L’immaginarsi martire sbranata da cannibali bocche la eccitava più di ogni altra cosa rendendola più similare ad una famelica belva che non ad un’umana creatura.
Per omaggiare le due libertine incessantemente in calore gli ospiti erano soliti portare al banchetto incantevoli fanciulle e prelibati giovinetti nel fiore dell’adolescenza, ovvero fresche vittime sacrificali ad acquietare un poco l’inappagabile sete di sesso e sangue delle due scellerate. Prima venivano rimpinzati di cibo fino a scoppiare, spesso fatti mangiare per terra a quattro zampe, poi innaffiati con dolcissimo vino fino a renderli ebbri. Verso la fine della cena, quando principiavano le orge, gli sventurati venivano completamente denudati e costretti a partecipare ai dissoluti festini, ridotti a schiavi sottomessi della feroce lascivia e obbligati a soddisfare qualsiasi indecente capriccio o desiderio. Ma l’orgasmo non placava la sete tremenda delle lussuriose monache. L’eccesso, la tortura, il delitto, ogni sorta di nefandezza stimolava le voglie di Virginie e Claudine le cui menti partorivano le fantasie più agghiaccianti e gli abomini più mostruosi; supplizi inimmaginabili accendevano di desiderio quelle cupe anime e non se ne saziavano mai. Erano incontentabili e perennemente affamate di libidine, sangue, crudeltà e violenze d’ogni sorta.
Li legavano con pesanti catene alle colonne delle possenti architravi, poi facevano cadere su quelle tenere e rosee carni fruste e gatti a nove code, dilaniandole furiosamente. Non ancora soddisfatte li appendevano al soffitto per i piedi lasciandoli dondolare a testa all’ingiù schiaffeggiandoli mentre viziose si baciavano in bocca e straziavano i loro capezzoli con morsetti d’acciaio e unghiate violente; il resto dei convitati si dilettava nell’ insudiciare quei corpi inermi con minzioni ed escrementi; li sodomizzavano con qualsiasi spaventoso e gigantesco arnese si trovassero a portata di mano; cucivano i sessi delle ragazze e mutilavano gli scroti dei giovinetti e tutto ciò provocava in loro una gioia sublime, un turbamento quasi mistico. Il palesarsi delle loro passioni più tremende, le mutilazioni, lo scorrer copioso del sangue mischiato allo sperma, disperso a profusione per l’incredibile eccitazione che quelle terrifiche scene procuravano a tutti i partecipanti, le fustigazioni orribili a cui sottoponevano quegli innocenti, tutto le esaltava, tutto le mandava fuori di cervello come sotto l’effetto di una potentissima droga. Feline assetate di sangue si leccavano le turgide labbra in estasi emozionandosi fino al parossismo, registe di quell’incredibile inferno che avevano personalmente allestito.
Ogni notte l’orchestrato delirio prendeva la forma delle loro impudiche brame, tra le risate e i baccanali orgiastici dei convitati, Virginie De Sainte-Ange e Claudine De Curval, madonne splendidi e terribili dallo sguardo profetico d’indemoniate, ascoltando le grida dei torturati si toccavano gemendo, ma solo quando il parossimo era stato raggiunto, l’omicidio compiuto e sangue innocente versato, le due criminali decretavano la conclusione e ubriache barcollavano verso i loro sontuosi letti, poco prima che il sole facesse capolino all’orizzonte.
Ma loro non lo avrebbero visto. Vivevano nel loro personale allestito inferno, in una notte perenne che non conosceva mai la luce del sole, ma solo una luce artefatta, sempre sul punto d’implodere. Le tenebre, le tenebre soltanto conoscevano, quelle tenebre che le avrebbero protette e cullate fino ad una luminosa giornata di luglio, dell’anno del Signore 1793, in cui i loro occhi lo avrebbero visto davvero il sole, forse per la prima e ultima volta. In quei pochi istanti prima che le loro teste rotolassero dentro una cesta, tranciate di netto dalla ghigliottina e il boato fragoroso d’entusiasmo degli astanti ponesse fine all’ultimo atto di questi sanguinosi fatti che qui si sono narrati.

[Racconto scritto nel luglio 2010, in omaggio alla mia immensa adorazione per l’opera del Marquis de Sade.]